Qualsiasi atto cultuale di ogni religione prevede che i testi sacri non siano letti mentalmente o solo proclamati, ma siano cantati su formule melodiche semplici che chiamiamo con un neologismo «cantillazione». In una cultura orale, la trasmissione del sapere avviene attraverso l’amplificazione sonora della Parola sacra, perché possa essere maggiormente compresa e impressa nella memoria.
Anche la religione ebraica, specie dopo la distruzione del secondo Tempio e l’abolizione della liturgia sacerdotale, sviluppò il culto della Parola nella liturgia sinagogale. In questo contesto, si è innestata la liturgia dei cristiani, nella quale il canto dei testi sacri e in primis dei Salmi ebbe un’importanza primaria. Quello che attualmente chiamiamo con un termine generico «canto gregoriano» nacque come germinazione dalla cantillazione, che si svolgeva su alcune note o corde di recita, dapprima nella sinagoga, poi nelle domus ecclesiæ e nelle basiliche.
La messa cantata, di preconciliare memoria, comportava il canto del celebrante e dei ministri, per i quali era prevista una preparazione adeguata, oltre che una serie di sussidi specifici. La riforma liturgica conciliare, contrariamente alla prassi a cui ci stiamo abituando, ha mantenuto e incrementato il canto dei ministri, introducendo la «legge della gradualità». In particolare, l’Istruzione Musicam Sacram del 1967, attuativa del capitolo sesto della Sacrosanctum Concilium, al n. 29, enumera tre gradi di partecipazione alla celebrazione. Il primo di questi prevede il canto del celebrante e dei ministri per facilitare la partecipazione dei fedeli, realizzando nel contempo la tanto auspicata «solennità».
Comprendiamo quanto sia distorto il nostro modo di celebrare, allorché privilegiamo i canti processionali di Introito, di Offertorio o di Comunione, trascurando le acclamazioni e le formule di risposta al canto del celebrante e dei ministri. Purtroppo, questa situazione di graduale solennità, auspicata dall’Istruzione Musicam Sacram, non si è punto verificata, non tanto per la mancanza di melodie, ma per il venir meno della pratica musicale nei seminari e studentati di formazione durante il curriculum degli studi, oltre che per una cattiva interpretazione del concetto di solennità, di semplicità, di partecipazione, cui hanno involontariamente contribuito anche alcune scelte editoriali e musicali.
Infatti, i libri liturgici, editi dopo la riforma, hanno sempre riportato le melodie dei ministri, ma confinandole come appendice alla fine dei testi. Inoltre, le melodie proposte non sempre obbedivano alle regole di una corretta pronuncia dei testi, anzi spesso snaturavano la cantillazione trasformandola in un canto melodico vero e proprio. E anche quelle che venivano presentate come rifacentesi al repertorio gregoriano, in realtà da esso se ne distaccavano e non ne rispettavano la logica, le regole e il buon gusto.
La presente pubblicazione cerca di venir incontro alle esigenze di quanti, presbiteri, vogliano cantare i testi con melodie che siano aderenti ad essi e nel contempo splendano per nobile semplicità.
Tali formule di cantillazione sono state pensate per la lingua viva e, in tal senso, si uniformano a quanto si trova nei vari libri liturgici, Messale in particolare, editi dalle altre Conferenze Episcopali .
La tradizione scritta, per il canto delle orazioni fornisce due toni: il tono di RE, chiamato “tonus antiquior” ed anche “ tonus sollemnis”, e il tono di DO. Il tono di RE, giustamente chiamato “più antico” è l’unico che fornisce a tutto il corpus eucologico un splendida e significativa omogeneità musicale, ecco perché lo si è preferito e qui lo si propone nella sua consueta scrittura trasposta in LA. Attorno a questa corda di cantillazione, denominata corda madre, lo sviluppo del recitativo prevede una salita melodica al tenor Do che ben si presta a rendere in senso “drammaturgico” l’apporto vocale delle preghiere presidenziali più importanti, come il Prefazio e la Dossologia (Per Cristo), mentre per evidenziare il testo dell’istituzione dell’Eucaristia ci si avvale di accenti melodici intermedi sul SI. Riproponendo questo tono siamo certi che incontreremo il favore di quanti desiderano un humus liturgico comune a tutto l’orbe cattolico per quanto frazionato nelle singole varietà linguistiche.
La raccolta si pone come ausilio per facilitare il canto del celebrante e non ha alcuna pretesa di ufficialità: si tratta tuttavia di una proposta già consolidata. La realizzazione è opera del M° Mons. Alberto Turco, ordinario emerito di Canto Gregoriano al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, mentre il CD, con la realizzazione delle melodie, è stato affidato a p. Gennaro Becchimanzi OFM Conv., da anni impegnato nella diffusione del canto liturgico.