Col passare degli anni la stella di Luigi Picchi (1899-1970), che pareva doversi affievolire per poi sparire nella vastità senza colore, torna a far rivedere la sua fiammella e a rimandare una rinnovata luce musicale. La profondità degli studi  al Conservatorio di Milano, la risposta alla sua vocazione didattica e d’artista di chiesa, la capacità di tradurre con limpida scrittura l’inesauribile vena di compositore, ce lo ripropongono nelle pagine organistiche di cui molti parlano spesso senza averne letta alcuna. Se lo facessero, scoprirebbero alcune intuizioni relative alla meditazioni sui temi gregoriani, anticipatrici di uno stile che fu in seguito considerato “moderno”; troverebbero la melodia elegante per nobilitare il canto delle pastorali, delle meditazioni o l’accordalità accesa di molti  “Finali” dove si provavano tempra dell’esecutore e forza del ripieno organistico italiano; incontrerebbero un continuo preludiare che era accuratamente  derivato da studio della forma e continua richiesta alla fantasia. Era lo sforzo di una vita nella costrizione della pagina che aveva, per destinazione, l’obbligo di una “misura”. “In preghiera con i suoni, non esteta”, scriveva un suo allievo, mentre rileggeva i cinque volumi della “omnia” organistica  di Luigi Picchi. Uno scrigno da riscoprire.